Intervista al Maestro Pietro Mastropasqua
Parte 1
Ci racconta la sua storia Maestro?
Maestro Mastropasqua (MM): Dunque, io sono pugliese originario di Noci, un paesino vicino ad Alberobello. Avevo 10 anni quando sono andato a lavorare per la prima volta dal sarto. Mi ricordo che a quell’età, giocare, non era visto tanto di buon occhio. Io, per esempio, da bambino tiravo calci al pallone in piazza con gli amici, ma mio padre una volta mi vide, venne da me e mi disse “guarda un po' dove sei andato a finire, gioca a pallone chi è senza mestiere, chi non sa che fare!”.
Quindi lei ha lavorato dal sarto da quando aveva 10 anni.
MM: All’inizio facevo le soprammaniche, i punti lenti, queste cose. C’era il ferro a carbone e ci insegnavano come mettere il carbone, perché il ferro non si doveva mai spegnere. Questo sarto veniva da Milano, ed aveva decisa di aprire una sartoria a proprio a Noci. Sai, io vengo da una famiglia di commercianti ma a me non piaceva stare a negozio, così mi sono detto “vado a fare il sarto”. Sono andato lì, in sartoria, mi è piaciuto e sono rimasto fino a diciotto anni. Poi sono venuto a Roma.
Immagino che dopo 8 anni abbia imparato tutto.
MM: Beh, quasi tutto. In realtà quando sono arrivato a Roma era come se non avessi fatto mai il sarto. Dovetti ricominciare tutto da capo. Però si vedeva che ci sapevo fare. Il mio sarto si trovava in via Piave ed io facevo il lavorante, cioè colui che deve rifinire le giacche; il sarto faceva la prima e la seconda prova, poi le maniche ed il collo dovevano essere lavorate. La prova si fa senza il collo e senza le maniche o una manica soltanto, ma poi bisogna rifinire e questo compito spetta al lavorante.
A 22 anni poi, feci la scuola di taglio e dopo un anno chiesi al ‘principale’ di poter fare qualche giacca ma lui mi rispose che ancora era presto, che ancora non avevo l’esperienza giusta.
Non c’entrava niente saperci fare o meno, era una questione di età, l’esperienza voleva il suo tempo. Sai, un’altra mia grande passione è il ballo; da giovane andavo sempre a ballare e alcuni amici di ballo un giorno mi fecero notare come dimostrassi più anni di quelli che avevo. Allora lì mi venne l’idea: presentarmi da un altro sarto dicendo di avere almeno 25, 26 anni.
Questo sarto si trovava in via Toscana e mi presentai con il mio curriculum dicendo di avere 26 anni. Questi accettò e mi fece provare. Solo dopo parecchi mesi, quando mi chiesero i documenti perché mi dovevano assumere, scoprirono che in realtà avevo solo 23 anni.
Il tempo è esperienza, pensare che oggi invece è esattamente il contrario.
MM: Sì, oggi è l’opposto. Figuriamoci che quando hanno scoperto la mia età, pensavano avessi falsificato i documenti! Non potevano credere che avessi quell’esperienza a 23 anni soltanto.
A 26 anni poi, mi sono messo per conto mio; ho sempre avuto l’ambizione di avere la mia attività.
Decisamente un bello spirito imprenditoriale!
MM: Sì, non ho mai pensato “vado da quel sarto perché mi paga di più” o cose simili; quando io sentivo che c’era un sarto bravo facevo di tutto per andarci ed imparare. Mi ricordo di un sarto famosissimo che vestiva tutti gli attori e di un ragazzo che lavorava lì e che mi conosceva, il quale mi propose di andare a lavorare con lui dopo aver parlato di me al sarto. Io dissi di no, perché quello in realtà non era un sarto vero; era diventato sarto solo perché si era comprato una sartoria! Io invece ancora volevo imparare.
Bene, ha fatto questo “salto” ad un certo punto. Com’era all’inizio la situazione?
MM: Quando ti metti per conto tuo, non è che i clienti ci siano subito. Prima devi lavorare come lavorante esterno per altri. Quindi il mio precedente principale tagliava i tessuti e io realizzavo il vestito. E così anche per un altro sarto. In quel periodo lavoravo molto – si parla sui cento abiti l’anno – ed avevo anche io un lavorante. Nel frattempo, in quegli anni, decisi di aprire un bar in società.
Un bar?
MM: Sì, sì esatto. Mai avrei pensato che quell’idea sarebbe stata la scintilla per il mio successo lavorativo come sarto. Ovviamente il mestiere del sarto non l’ho mai abbandonato. Lavoravo mezza giornata al bar e mezza giornata in sartoria ed avevo sempre un lavorante che mi aiutava. Il destino ha voluto che l’architetto che aveva realizzato il bar, venendo a sapere che ero un sarto, mi chiese se potessi realizzargli un vestito. Realizzato il vestito, si scatenò la clientela. A volte è importante fare, perché non si può mai sapere dove ci può portare una strada.
Certamente. Anche la potenza del passaparola deve aver contribuito.
MM: La pubblicità vera è il passaparola, sono le persone. Io avevo un amico che spendeva dieci milioni di lire all’anno [una somma ingente per quegli anni] in pubblicità. Al cinema, a teatro, tantissima pubblicità. Dopo poco, ha chiuso. Il passaparola invece, è la pubblicità più sana.
È molto bello questo concetto. Secondo lei perché?
MM: È molto interessante. Il passaparola è la cosa più sicura e vera. Se una persona, un amico, ti dice “vai lì che è bravo”, la persona stessa ti fa pubblicità. Così l’architetto mi mandò suo fratello e suo fratello, un ingegnere che lavorava per l’ente di prevenzione per i lavoratori dello spettacolo, aveva cominciato a spargere la voce. Ricordo che poco dopo avevo letteralmente la fila di clienti fuori dalla porta. Poi bisogna sempre comportarsi in un certo modo, soprattutto nel quartiere.
In un certo senso si diventa quasi un personaggio pubblico.
MM: Sì, infatti. Le persone chiedono, si informano. Il quartiere è come un paese, bisogna sempre mantenere con il pubblico una certa immagine. Da questo ho preso da mio nonno, come doti, a me ha lasciato abilità e onestà.
Torniamo alla nostra storia. Immagino che poco dopo abbia lasciato il bar.
MM: Sì, il bar l’ho lasciato dopo pochi mesi. Il lavoro in sartoria era ormai lanciato. Ho pian piano diminuito il lavoro da esterno. Come diceva il mio principale “se viene un cliente anche solo per attaccare un bottone, attaccatelo bene”. L’attenzione alle piccole cose, ai piccoli dettagli è fondamentale. Una volta, una tintoria qui vicino mi mandò un cliente per rimettere i bottoni ad una giacca doppiopetto. Vedi, è una cosa seria mettere i bottoni al doppiopetto, ovviamente per un sarto è una sciocchezza, ma va fatto bene, ci devi saper fare. Il cliente mi chiese “quant’è?”, io gli dissi “niente, niente” e lui “allora mi faccio un vestito!”. Capito come funziona?
Perché tu puoi mettere tutta la pubblicità che vuoi ma devi prima saperci fare con il cliente e sapergli mettere addosso una giacca.
Vedi, capisci come le nostre esperienze ci rendano delle enciclopedie viventi?
...to be continued
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