Parole chiave: traduzione, traduttori, interpreti, linguaggio
Ci sono viaggi che ci rimangono nel cuore e che vorremmo non finissero più. Ci sono viaggi, al contrario, che avremmo preferito non intraprendere mai. Ci sono viaggi brevi e viaggi lunghi, viaggi solitari e in compagnia, viaggi che utilizzano le sole ali dell’immaginazione e viaggi che usano, invece, quelle dell’aereo. Eppure, alla fine, ciascuno di essi ci ha lasciato argomenti su cui riflettere per capire qualcosa in più di noi stessi, poiché ogni viaggio in fondo è un nostro viaggio, cioè nient’altro che una metafora che rappresenta l’unico, vero, magnifico e misterioso viaggio che ci accomuna tutti: quello della vita. Ciò che voglio raccontare oggi è dunque, come si sarà capito, un viaggio: il viaggio di una traduzione, un percorso lungo il quale si incontrano l’arte di dare forma alla materia e l’arte di dare forma ai suoni, un crocevia in cui uno scultore e uno scrittore, dialogando al di là dello spazio e del tempo, definiscono un elemento costitutivo del patrimonio di immagini che appartiene a tutti noi.
«Possis nihil urbe Roma visere maius» («Tu non vedrai al mondo cosa maggiore di Roma»), scrive Orazio nel suo Carmen saeculare. E in effetti, oggi come allora, l’incredibile patrimonio artistico della Capitale lascia senza fiato tutti coloro che hanno la fortuna di incappare nella Città Eterna. Fra i monumenti e le opere che la irrorano completamente di bellezza, tuttavia, ve n’è una che ha una storia poco conosciuta, ma che è tutta da raccontare: il Mosè. È una scultura marmorea realizzata da Michelangelo tra il 1513 e il 1515 e successivamente ritoccata nel 1542, che si trova nella Basilica di San Pietro in Vincoli. Fu commissionata da papa Giulio II come opera facente parte del complesso statuario che doveva costituire il suo mausoleo, ma del progetto iniziale solo tale opera fu degna della fama dell’artista. L’elemento singolare che la caratterizza è la presenza di due corna sul capo, che sono tipiche dell’iconografia del personaggio biblico. Il motivo di tale particolarità deriva da una traduzione sbagliata del Libro dell’Esodo: nei versetti 29-35 del libro 34, infatti, viene narrato che Mosè, scendendo dal monte Sinai, avesse due raggi sulla fronte. Ora, nella traduzione disponibile al tempo di Michelangelo il termine «karan», «raggi», era stato confuso con la parola «keren», che significa, appunto, «corna». Una “e” al posto di una “a” ed ecco che una delle figure fondamentali della Bibbia, anziché illuminato dalla luce divina, cominciò ad essere raffigurato con un paio di corna, simbolo che, ironia della sorte, appartiene per antonomasia al diavolo. Una vita spesa al servizio di Dio per poi ritrovarsi rappresentato con il tratto caratteristico del suo acerrimo nemico. Verrebbe da dire: oltre al danno pure la beffa! Questo racconto è istruttivo, in quanto sottolinea la grande responsabilità che ogni traduttore deve sostenere, oltre all’elevatissimo livello di attenzione e competenza richiesto: una sola lettera sbagliata può anche cambiare la storia, come in questo caso.
A questo punto una maggiore attenzione meritano il pomo della discordia (tanto per rimanere in tema), cioè la versione incriminata della Bibbia, e il suo traduttore. Essa si chiama Vulgata e consiste in una traduzione latina del Testo Sacro, originariamente in greco e in ebraico, a opera di San Girolamo, che per primo si cimentò in tale impresa. Il suo lavoro fu talmente influente che oggi è considerato il santo protettore dei traduttori e degli interpreti e a lui è dedicato il 30 settembre, giorno della sua morte. Egli, inoltre, fu autore di quello che può essere considerato, a tutti gli effetti, il primo trattato di traduttologia: in una epistola pervenutaci indirizzata a Pammachio (un senatore romano venerato poi come santo dalla Chiesa) argomenta e spiega il suo metodo di lavoro, incentrato sulla resa del senso del discorso e non delle singole parole. Ecco cosa scrive:
Io, infatti, non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l’ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone, che tradusse il Protagora di Platone, l’Economico di Senofonte e le due bellissime orazioni pronunciate l’uno contro l’altro da Eschine e Demostene. […] Mi è sufficiente l’autorità del traduttore medesimo, che parla in questo modo nel prologo delle due orazioni: «[…] In esse non ho ritenuto necessario rendere parola per parola, ma ho conservato complessivamente il valore e la forza delle parole». Anche Orazio, uomo dotto e acuto, prescrive lo stesso nell’Arte Poetica al traduttore colto: «Tu, traduttore fedele, non ti curerai di rendere parola per parola». Terenzio ha tradotto Menandro, Plauto e Cecilio gli antichi comici; forse si attaccano alle parole o non conservano piuttosto nella loro traduzione la grazia e l’eleganza? Quella che voi chiamate la fedeltà della traduzione, questi uomini colti la chiamano gusto pedissequo. […] Se qualcuno non pensa che l’eleganza di una lingua è necessariamente mutata dalla traduzione, si provi a tradurre parola per parola Omero in latino, e dirò di più, lo traduca in prosa nella sua stessa lingua; vedrà che l’ordine delle parole risulta ridicolo e il poeta più eloquente riesce appena ad esprimersi”. (Epistulae LVII, 5)
La grande attualità di queste riflessioni, dunque, consiste nella lucida dichiarazione metodologica alla base del suo lavoro e nella decisa difesa delle sue scelte: come ogni buon traduttore, egli coraggiosamente si assume la responsabilità delle sue decisioni ed è pronto ad argomentarle con acume e forza.
Le parole di Girolamo ci conducono, ormai, alla fine del nostro viaggio. E come si diceva all’inizio ci lasciano degli interrogativi su cui riflettere: è effettivamente questo appena esposto il metodo migliore per portare avanti il nostro lavoro? Esistono soluzioni alternative? È ancora imprescindibile l’apporto di persone che possano restituire il senso di un elaborato in un settore sempre più minacciato dall’ intelligenza artificiale? Ci sarà tempo e modo di approfondire tutto questo. Per il momento, come diceva Cartesio, «dubium sapientiae initium».
Dott. Eugenio Landro
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